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The Research of Prof. Vincent H. Crespi

Un nanotubo è una particolare forma derivata dal fullerene e si ottiene prendendo un singolo foglio di grafite arrotolandolo su se stesso e applicando alle due estremità del cilindro i 2 emisferi del fullerene semplice (C60)

Il primo a fabbricare un nanotubo nel 1991 è stato Sumio Iijima, un ricercatore della Nec, uno dei colossi giapponesi dell'elettronica. E cosa ha di speciale un nanotubo?

Per cominciare è la fibra più resistente che si conosca sebbene sia circa cinquantamila volte più sottile di un capello umano.
Inoltre possiede delle interessanti proprietà elettriche, infatti, a seconda del suo diametro può essere o un conduttore di corrente, come un metallo, o un semiconduttore, come il silicio degli attuali microchip.

Così si potrebbe costruire una nuova generazione di chip elettronici al carbonio sfruttando le proprietà dei nanotubi di diametro diverso. E rispetto ai circuiti di silicio attuali, quelli al carbonio sarebbero incredibilmente più piccoli.
Questi tubicini di carbonio sono così sottili che una singola fibra lunga ben quattrocento mila chilometri si potrebbe, diciamo così, impacchettare in un cubetto di poco meno di due centimetri di lato.
Un cubetto di carbonio poco più grande di un dado da gioco potrebbe contenere un numero immenso di contatti, di allacciamenti e di interconnessioni elettroniche, il che non è nemmeno immaginabile di poter costruire con i vecchi, si fa per dire, e ingombranti componenti di silicio.

Insomma, il silicio, che finora è stato il re incontrastato del mondo della microelettronica, potrebbe essere sul punto di cedere il suo scettro al carbonio. Che conoscevamo già come prezioso diamante, o come umile grafite o come materiale da costruzione leggero ma resistentissimo e che forse impareremo a conoscere come nanochip.

(da MediaMente, Approfondimento del 13 aprile 1998)