La decisione di colpire il Giappone: Hiroshima e Nagasaki

Con la scoperta dell'impossibilità per la Germania di costruirsi una bomba atomica e con la disfatta delle armate di Hitler, venne a cadere la giustificazione ideologica che aveva sorretto il lavoro degli scienziati partecipanti al progetto Manhattan e alcuni di essi cominciarono a pensare che non avesse più senso proseguire nell’impresa.
Anche stavolta fu Szilard ad assumere l’iniziativa, stendendo un promemoria per il presidente Roosevelt, sottoscritto da altri scienziati, nel quale si sosteneva che sarebbe stato assolutamente ingiustificato lanciare le prime bombe atomiche sul Giappone.
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Il 12 aprile però Roosevelt moriva e il nuovo presidente Harry Truman formò un comitato per prendere l’importante decisione circa l’impiego della nuova arma. Al comitato viene affiancata una sottocommissione consultiva formata dai quattro maggiori responsabili scientifici del progetto Manhattan: Oppenheimer, Fermi, Compton e Lawrence. Il primo giugno 1945 il comitato approvava una serie di suggerimenti al presidente Truman. In essi si raccomandava di lanciare al più presto la bomba atomica sul Giappone, senza alcun particolare preavviso circa la natura dell’arma, colpendo un obiettivo costituito da installazioni militari circondate da abitazioni o da altri edifici particolarmente danneggiabili.

Quando la notizia trapelò il gruppo di Szilard stese un proprio documento, il rapporto Frank, sulle conseguenze politiche e sociali dell’energia atomica, che si concludeva con un invito a usare la bomba solo a scopo dimostrativo, per intimorire il Giappone, in una località deserta. Il rapporto Frank fu respinto dal comitato governativo, in cui prevalse la convinzione che la bomba atomica avrebbe indotto il Giappone alla resa incondizionata ed evitato così una sua invasione che sarebbe certo costata decine di migliaia di morti.

Furono accelerate tutte le attività del progetto atomico. Erano ormai pronti i primi chilogrammi dei due diversi esplosivi atomici, il plutonio e l’uranio 235 e fu possibile costruire due tipi di bombe trasportabili in aereo. Solo la bomba al plutonio richiedeva una verifica sperimentale. L’esperimento fu compiuto ad Alamogordo, nel Nuovo Messico, il 15 luglio 1945 e i dati numerici permisero di calcolare che la bomba atomica aveva avuto una potenza esplosiva equivalente a ventimila tonnellate di tritolo.

Durante la conferenza di Potsdam, Truman inviò al Giappone un ultimatum, senza però fare alcuna allusione alla nuova arma. Sotto la pressione dei militari il Giappone respinse la dichiarazione di Potsdam il 28 luglio. Il 6 agosto la prima bomba a uranio 235 veniva sganciata. Hiroshima era una città di circa 350.000 abitanti, uno dei maggiori centri giapponesi di produzione bellica.
La bomba distrusse qualsiasi cosa nel raggio di due chilometri, circa il 98% dei palazzi della città furono distrutti o gravemente danneggiati, oltre 70.000 persone furono uccise e molte altre morirono poi per effetto delle radiazioni.

Di fronte alle titubanze del governo giapponese ad accettare la resa incondizionata, il 9 agosto venne sganciata su Nagasaki una bomba al plutonio, la gemella di quella sperimentata ad Alamogorodo. La città fu distrutta per il 47 % e i morti furono 75.000. Il Giappone si affrettò ad accettare la resa.
Se molti scienziati erano contrari all’uso della prima bomba, quella di Nagasaki generò sgomento e ira. Di fronte a un nemico ormai piegato che aveva già sperimentato sulla propria carne il terribile morso dell’atomica, quella bomba appariva del tutto inutile. Con la seconda bomba si affrettava il termine del conflitto, impedendo che anche l’Unione Sovietica entrasse in guerra con il Giappone e pretendesse poi di rivendicare i meriti della propria partecipazione alla vittoria.

Per molti quella di Nagasaki non fu l’ultima azione militare della seconda mondiale, ma la prima grande operazione della guerra fredda.


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